PREGIUDIZI E PSICOFARMACI

Al giorno d’oggi ci sono ancora molti pregiudizi sull’utilizzo degli psicofarmaci e questo provoca un ritardo nella richiesta di aiuto ed un rifiuto a priori di terapie farmacologiche che sarebbero invece utili ed efficaci. Gli psicofarmaci sono spesso considerati erroneamente delle sostanze chimiche che cambiano e danneggiano il cervello. Ne consegue che l’idea di rivolgersi ad uno psichiatra, o non viene presa in considerazione o, nella migliore delle ipotesi, viene vista come “l’ultima spiaggia”, quando la situazione si è già aggravata in modo significativo. 

 

L’auspicio è quello che si diffonda il dato che in psichiatria i farmaci utilizzati sono curativi tanto quanto quelli di più largo impiego nel resto della medicina: il cervello è un organo del corpo umano che si può ammalare come tutti gli altri organi e può (e deve) essere curato con farmaci specifici. Per molte patologie mediche è noto come sia necessario proseguire a lungo una terapia farmacologica, anche quando la persona sta bene, proprio per evitare la ricomparsa dei disturbi (ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, diabete..); ma quando si tratta di prendere, anche per breve tempo, un antidepressivo e/o un ansiolitico insorgono mille dubbi.

 

Alla fine di ogni prima visita arriva sempre il fatidico momento in cui lo psichiatra deve rassicurare il paziente e  rispondere alle domande relative alle più svariate  convinzioni negative sugli psicofarmaci.

 

“Dovrò prendere i farmaci per tutta la vita?”

Il tempo di assunzione di una terapia psicofarmacologica dipende dalla categoria di farmaco prescritta e dai motivi clinici per cui la terapia è stata consigliata. Sicuramente al termine di una prima visita lo psichiatra può fare una previsione a grandi linee dei tempi di sospensione (o di riduzione) dei farmaci assunti, basandosi sulle conoscenze scientifiche e sull’esperienza personale. Anche in ambito psichiatrico l’obiettivo da perseguire è quello di recuperare il benessere e mantenerlo nel tempo e questo a volte è possibile grazie all’assunzione per lungo tempo di un farmaco.

 

“I farmaci mi daranno dipendenza?”

Sicuramente questa legittima preoccupazione nasce da un’informazione sbilanciata, che alimenta diffidenza e paura. Si legge moltissimo sui rischi d’abuso delle benzodiazepine, ma meno parole vengono spese per descrivere l’utilità di questi farmaci nella gestione degli stati emotivi acuti. Detto ciò, la dipendenza da psicofarmaci è accertata solo per questa categoria ristretta di psicofarmaci, che comunque può essere utilizzata in modo appropriato per un tempo limitato e sotto uno stretto monitoraggio medico per controllare nel breve termine alcuni sintomi (ansia, insonnia).

 

“I farmaci mi cambieranno il carattere?” 

Gli psicofarmaci non ci fanno diventare qualcun altro, nè vanno ad indurre pensieri estranei alla nostra personalità. L’obiettivo è esattamente il contrario: contribuire al recupero delle emozioni, dei pensieri e dei comportamenti che risultano alterati.

 

“I farmaci mi causeranno gravi effetti collaterali?”

L’uso degli psicofarmaci si correla a rischi, che non sono tuttavia così diversi da quelli che accettiamo quando ingeriamo farmaci a cui non è assegnato il prefisso “psico” (la lettura del foglietto illustrativo dell’aspirina non mette in fuga i paurosi, seppur anche su quel bugiardino si legga un elenco di terribili disgrazie). La maggior parte delle molecole utilizzate in psichiatria non determina particolari effetti negativi e risulta ben tollerata dai pazienti.

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